Arte del Suiseki: origini storiche e significato culturale
di Paola Belli
Già nel suo significato di pietra modellata dall’acqua, la parola Suiseki propone un materiale insolito per un’epoca come la nostra, lontana nel tempo e nella mente dall’età della pietra.
Pietra -paesaggio, o pietra -oggetto, i suiseki sono una presenza sorprendente nelle esposizioni, proposte nel tokonoma vuoto o ornato di rarissimi elementi come una pergamena giapponese. La loro collocazione in questo spazio però ne conferma il loro valore sacro. In effetti queste pietre solitarie erano e sono conosciute con altri nomi in Cina ed in Corea. Per lo più erano chiamate le “pietre dello studioso, o del saggio” e nel Buddismo avevano una funzione meditativa al fine di raggiungere l’illuminazione.
Il suiseki non è semplicemente un sasso, è un essere apparentemente immobile, di certo lento, ma vivo, che sembra vuoto, brullo e vacuo. Raccolto ed esposto senza possibilità di tagli o modellamenti, sottoposto solo a pulitura, il suiseki matura la sua forma grazie all’uomo che lo guarda, lo rigira, lo posa e lo riprende ed alla fine, scegliendo una posizione ne fa emergere la forma.
Tutte le forme del suiseki (paesaggi, pietre oggetto, astri, sole/luna, fiori e frutta, piante ecc.) hanno in comune la forza della stabilità, della longevità e l’idea di sfida al tempo.
Poggiato su una base di legno, il daiza, costruito non a caso e con perizia artigianale, spesso ha atteso tanto tempo perché il maestro trovi la posizione ritenuta migliore ma non unica. Può essere esposto anche in una bassa ciotola di ceramica o di bronzo.
Il suiseki ha bisogno della presenza umana per essere suiseki: l’uomo e la pietra dialogano fittamente durante la sua formazione, ma il dialogo del suiseki continua con i visitatori, durante la sua esposizione. Anche il contesto espositivo fa il Suiseki, per quanto gli elementi che lo circondano siano pochi.
Alle esposizioni la gente li guarda e si sofferma a pensare, a chiedersi che significa, cosa è, cosa sembra. La mente vaga e si allontana e lo guardo resta fisso, primo passo per la meditazione.
La nostra difficoltà di occidentali, la nostra impazienza nell’ottenere tutto e subito, cozzano con queste pietre che ci riportano lontano quando il nostro rapporto con le pietre era diverso ed il rispetto per la loro resistenza al tempo, per le loro forme e la loro vita lunghissima ci spingeva a credere che dentro alcune di loro albergasse una divinità. Il Giappone di oggi invece, permeato dello Shinto, antica religione orientale, pratica ancora il suo concetto fondamentale: la forza divina creatrice penetra il tutto ed il nulla ed in essi si nasconde.
Per i giapponesi e per chi l’ama il suiseki ospita, come il bonsai, un’energia vitale divina. Fissandolo, si generano in noi una moltitudine di immagini, mutevoli e varie, che lo ricoprono di significati spesso subito accantonati per altre immagini, e sembra strano che tanto vuoto generi tanta vita.
Con queste pietre il tempo si ferma e “quando il tempo si arresta, fermi come alberi o pietre dentro il cosmo si avverte il ritmo delle sfere, lo scorrere infinito e lento delle stagioni” (BASHO)